Quasi nessuno ricorda che la bella città di Dachau, a pochi chilometri a nord di Monaco di Baviera, vanta un meraviglioso castello che è stato la residenza dei duchi di Baviera.
Poco importa ai turisti della millenaria storia della città. Tutti vengono qui per aprire gli occhi su una delle pagine più nere della Storia, non solo contemporanea: il nome di Dachau è infatti indissolubilmente legato al primo dei campi di concentramento nazisti, teatro di infinite atrocità.
Certo non si viene qui per scorci da cartolina, suggestivi tramonti o pittoreschi quartieri; si viene qui per stare in silenzio.
Al di là di facili retoriche, il campo di concentramento di Dachau è un luogo importante da visitare: per conoscere, per capire, per ricordare.
Il primo campo di concentramento nazista fu fatto costruire nel 1933 nella località di Dachau, all’interno di una ex fabbrica reale di munizioni e polvere da sparo.
L’apertura del campo venne annunciata il 20 marzo da Heinrich Himmler, capo delle SS nonché presidente del presidio di Polizia di Monaco. Due giorni dopo arrivarono già i primi prigionieri: non erano ebrei ma bensì prigionieri politici iscritti al Partito Comunista (in seguito furono deportati anche i socialdemocratici).
Nel 1938 arrivarono i primi prigionieri stranieri: si trattava degli austriaci arrestati durante l’annessione dell’Austria alla Germania. I primi prigionieri ebrei arrivarono nel novembre 1938, in seguito alla Notte dei cristalli con cui iniziò la sistematica persecuzione della popolazione ebraica. Fino al 1944 tutti i prigionieri, di qualunque nazionalità ed etnia, erano maschi.
La liberazione del campo ad opera degli americani avvenne il 29 aprile 1945. Vent’anni dopo, il 9 Maggio 1965, fu inaugurato il Centro commemorativo del campo di concentramento di Dachau, un memoriale con museo, archivio e biblioteca.
È impressionante il bilancio delle vittime di Dachau. Le cifre, tuttavia, sono incapaci di trasmettere la portata dell’orrore che si consumò all’interno del campo.
Le vittime di Dachau
Oltre a ebrei e prigionieri politici, vennero discriminati e deportati a Dachau anche persone appartenenti alle etnie Sinti e Rom, omosessuali, testimoni di Geova e persone diffamate come fannulloni che riscuotevano il sussidio sociale.
Il primo segno che si sta per entrare in un luogo sinistro si ha già all’ingresso di Dachau: sul cancello in ferro battuto campeggia la frase “Lavorare rende liberi”, che sarebbe diventata l’inquietante motto dei campi di concentramento.
Nella piazza dell’appello i prigionieri venivano contati, mattina e sera, e sempre qui venivano divisi in base al lavoro da svolgere. Oggi sulla piazza c’è un Memoriale.
Le baracche in cui venivano incarcerati i prigionieri sono state demolite, mentre si possono ancora vedere il bunker dove avvenivano le torture e le esecuzioni.
La vista più inquietante di tutta la visita è probabilmente il forno crematorio del campo. A questo è collegata una camera a gas, che non fu mai utilizzata.
Il centro della visita è naturalmente il museo, che racconta dettagliatamente la storia di Dachau e di altri campi di concentramento: la sua evoluzione da centro di detenzione a campo di sterminio fino alla liberazione, la vita quotidiana nel campo ed episodi chiave come l’epidemia di tifo che decimò la popolazione del campo.
In esposizione al museo di Dachau troverete fotografie, oggetti personali di guardie e prigionieri, divise militari, documenti e testimonianze dei disumani esperimenti scientifici condotti dai medici nazisti, un ceppo dove i prigionieri venivano frustrati e un modellino in scala del campo nel momento di massima estensione.
È facile raggiungere il campo di concentramento di Dachau con i mezzi pubblici: prendete la metropolitana S2 fino a Dachau e da lì un autobus locale.
Se viaggiate in auto, una volta giunti a Dachau seguite le indicazioni per KZ-Gedenkstätte.